venerdì 2 novembre 2007

Ode

La casa di via S. era vecchia ancora prima di essere nuova. Si affaccia su un campo incolto. L'ultimo campo incolto rimasto nella città P. Sono quasi due anni che l'ho vista per la prima volta. Era come se mi dicesse che dovevo amarla. E così è stato. L'ho amata da subito, quasi incondizionatamente. E' una casa fatta a forma di casa. Quadrata come quei disegni delle elementari. Ti dicono di disegnare una casa e tu disegni casa mia.
Era un giorno di uggia mostruosa quel giorno che ci siamo incontrate. Un grigio e un umido che si riscontrano raramente in altre parti del mondo. E nonostante il riflettere il nulla, io mi sono sentita che dovevi essere mia. E così è stato.
Un desiderio espresso è stato realtà. E non è cosa da poco.
Siamo in tre a condividere questa pacchia. Io, te e il nostro compagno di giochi. Ed è un triangolo perfetto.
Mi fa voglia di non uscire mai, di restare al protetto. Di rosicchiare nachos sotto una trapunta, davanti alla televisione. Di bere tè al latte davanti al pc, strafogandomi di sigarette buone. Di fare il bagno caldo, caldo, caldo, di notte, con la stufa accesa, i sali profumati nell'acqua e la musica che viene dall'altra stanza.
Insomma una cosa terribile per chi, come me, deve riabilitarsi socialmente. Uscire, vedere gente e fare cose.
Insomma, non mi pare proprio il caso.
E, in questo momento, quale delle 600 tazze sparse sulla scrivania è quella piena della camomilla che dovevo bere?

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